Le scadenze del cuore

I suoi occhi stanchi vorrebbero chiudersi, in certi giorni. Il cuore vorrebbe essere sordo. Le mani immobili. I piedi sollevati dalle zavorre terrene. Vorrebbe che i pensieri tacessero. Le piacerebbe passeggiare per le strade dimenticandosi dei suoni e dei profumi, delle cose viste e vissute, delle gioie passate e delle angosce presenti. Amélie lo desidererebbe tanto. Per non provare nostalgia. Per essere al mondo col suo solo peso, senza il carico di dolore che vede e sente in sé e in chi incontra. Per una volta soltanto, proprio questa qui, vorrebbe macchiarsi della più odiosa delle colpe: l’indifferenza. Non sentire più, non vedere più, non amare più.

Tra i paradossi più detestabili, il peggiore, per Amélie, è il bisogno di una scadenza per spronarti a fare ciò che devi, o peggio, ciò che davvero conta per te, ciò che ti rende felice

 A scuola hai bisogno dell’avvicinarsi della fine del quadrimestre per metterti sotto e dare il meglio di te, o almeno per strappare quel sei che ti eviti la bocciatura.

Quando sei figlio, egoisticamente assorto nei tuoi problemi, hai bisogno di vedere tuo padre star male per capire quanti giorni hai sprecato senza ricordargli quanto sia importante per te e quanto bene tu possa volergli. È la paura della fine che ti fa scoprire d’essere fragile, a qualunque età. Vorresti poter essere sempre figlio per sapere che, ovunque sarai, qualunque scelta prenderai, avrai sempre qualcuno ad aspettarti a casa, un porto in cui attraccare dopo ogni mareggiata, un faro pronto a illuminarti il sentiero quando smarrisci la rotta. È il timore di non specchiarti più negli occhi di chi ti ha dato la vita a renderti vulnerabile e a farti capire che, prima d’essere compagno, marito, padre, tu sei e sarai sempre figlio. Ricorderai, allora, l’infanzia, i sacrifici, l’amore, le cadute e le risalite. Ricorderai quando non bastavano i soldi per arrivare a fine mese e tuo padre non sapeva cosa mettere a tavola. Ricorderai con quanta forza, per amor tuo, si è rialzato e ha costruito la vita che meritavi. Sarà, allora, che ti chiederai perché i tuoi occhi non hanno vista prima. Perché hai passato la vita a contestare i tuoi, cercando quell’indipendenza che ti ha portato così lontano da non renderti conto di quanto avessi ancora bisogno delle tue radici. L’avvicinarsi, in cuor tuo, della fine ti renderà saggio. Perché a volte c’è bisogno d’essere privati di un grande affetto per apprezzarlo. Odioso, ingiusto, ma dannatamente vero.

Ed è così che capita che, quando soffri della sindrome di Peter Pan o della donna in carriera, hai bisogno della scadenza dell’orologio biologico per accorgerti che desideravi anche tu avere una famiglia. Oltre che figlio vorresti essere padre o madre. E cominciano, allora, le corse, le visite, i bombardamenti di ormoni, l’accontentarsi di un compagno che non è quello che hai amato davvero e che, col senno del poi, sai sarebbe stato l’unico a renderti davvero felice.

Quando sei giovane e credi di avere tutta la vita davanti tendi inevitabilmente a rimandare a domani i tuoi sogni più intimi. Ti dai delle priorità. Fai una scaletta di passi da affrontare e, tassello dopo tassello, provi a costruirti la vita che vorresti. Ma le cose non vanno sempre come desideri e più progetti, più cerchi di inquadrare tutto, più il destino si accanisce a scombussolare ogni cosa. Arriva una folata di vento più forte delle altre e i tasselli volano via. Crolla il tuo castello di certezze. Vacillano i tuoi progetti. Si allontano i tuoi sogni fino a svanire. Ne perdi i contorti, si vaporizzano le sfumature. Cambiano le tue priorità. Non hai più davanti a te i soliti gradini da salire: lo studio, il lavoro, l’amore, la famiglia. Quel vento ha spazzato via tutto. Ora c’è un solo grande gradino. Una sola grande sfida: la vita. Senti vicina la scadenza e ricominci allora a ripensare a tutto, agli sbagli fatti, all’inutilità di programmare, a quelle priorità che, in fondo, non erano le priorità del tuo cuore ma della tua testa. Comincia così una sfida che, a volte, neppure vorresti affrontare, perché sai che, seppure la vincessi, la vita sarà tutta in salita, sai già cosa non potrai più avere e quanto ti costerà rassegnarti o trovare alternative. Sarà in quel momento che odierai i ciechi, quelli che, pur avendo la possibilità di essere felici, hanno chiuso gli occhi e hanno smesso di sognare.

Amèlie è questi pensieri che oggi vorrebbe zittire. È questa saggezza che non vorrebbe provare. Seduta in sala d’attesa, non vorrebbe voltarsi e trovare vuota quella sedia accanto a sé. Vorrebbe incrociare due occhi che, senza dir nulla, siano presenza. Vorrebbe alzarsi e stringere una mano, prima di cominciare a camminare.

 

holding hands