Come more selvatiche

 

Blackberries

Sarà l’estate alle porte, sarà questa brezza che accarezza la pelle e solletica un brivido. Sarà forse la vita che si colora di toni caldi. Saranno le strade avvolte da inebrianti profumi e da fiori che esplodono di colori. Sarà che, ovunque mi volti, c’è del verde. Sarà che il momento della giornata che adoro di più è il tramonto, col suo arancio che ti entra dentro fino all’anima, la mette in subbuglio, rimescola sensazioni, richiama ricordi, strugge e ferisce. Sarà che ogni bugia è buona per parlarmi di te e, se chiudo gli occhi, vedo il tuo volto in un caldo pomeriggio d’estate.

Per sfuggire alla calura mi proponi una passeggiata lungo i sentieri di una montagna che conosci da bambino. Lasciamo l’auto alle pendici e mi chiedi di scegliere quale percorso seguire. Andiamo a destra. Il sentiero è quasi deserto. Solo ogni tanto incrociamo qualche temerario che fa jogging. Alla nostra sinistra c’è la montagna, a destra il vuoto. Al centro noi, tra la certezza e la vertigine. Sopra di noi l’immensità, tra rami e fronde che si intrecciano formando una galleria naturale. Passeggiamo e mi racconti di un gigante che si aggira per quella montagna, un tipo curioso ma innocuo. Farnetichi su un’idea che ti gironzola in testa da un po’. Vuoi rilevare la vecchia casa dei tuoi nonni, alle pendici del monte. Ci sono poche camere, il soppalco … Mi chiedi cosa ne penso e continui a sognare su come, con poco, avremmo un punto d’appoggio per l’estate e renderesti felice tuo padre. Ti ascolto, mi piace che me ne parli, ma una parte di me sa già che fuggirai anche da quest’idea. Sei bello quando sogni in grande, ma lo saresti ancora di più se credessi in quei sogni fino in fondo. Quando è il cuore a parlare, sei capace di grandi slanci d’affetto, sei libero da catene, sei uomo, sei l’uomo che amo. Ma più forte dei sogni, più forte delle passioni, dell’amore, del domani da costruire, ci sono i tuoi fantasmi, quei freni e quelle zavorre che ti tengono ancorato a terra. Provi a divincolarti, a lasciarti andare, provi a immaginare una vita e poi, sempre, puntualmente, mentre siamo lì per compiere il passo, tutto svanisce, ti tiri indietro adducendo le scuse più becere. Lasci volare il palloncino ad elio che tieni stretto alla mano. Svaporano nel firmamento i nostri sogni. Svapora la vita che avrei voluto con te.

Avrei voluto sciogliere quelle catene, liberarti dalle tue zavorre e farti provare la leggerezza di una vita in due. Ma tu sei come le more selvatiche tra i rovi. Quante ne abbiamo raccolte? Le mani tinte di viola, qualche graffio sulla pelle, gli occhi gioiosi. Le strappi e me le porgi. Sono quasi nere, corpose, compatte, eppure appena le porti alle labbra sono delicate, molli, si sciolgono in bocca, sprigionando un nettare agrodolce.

Sei come quelle more protette dai rovi spinosi. Ho intravisto la dolcezza sotto la sfida di uno scudo ispido. Ho provato a coglierti, incurante dei graffi. Ho creduto che quelle spine fossero la tua difesa, la tua seconda pelle. Ho assaporato l’amaro dei tuoi silenzi, dei tuoi no. Ho provato a portarti con me… ma sei rimasto intrappolato tra la polvere e le ragnatele dei rovi. Ti ho teso la mano, ma non l’hai afferrata. I tuoi sogni restano lì, alle pendici di quel monte, in quella casetta che mai più vedrà la luce. Sulle tue labbra il sapore acre delle more selvatiche.

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